Shopping cart
0,00 €

Donne migranti in Italia: tra ostacoli invisibili e potenzialità inespresse

Il percorso di inclusione delle donne migranti in Italia rappresenta una sfida multidimensionale, dove discriminazioni sistemiche e potenzialità inespresse si intrecciano. 

A Terra Verde lavoriamo ogni giorno al fianco di persone fragili e, soprattutto negli ultimi anni, di donne migranti. Possiamo quindi dire di essere testimoni quotidiani delle sfide che queste affrontano. In particolare, le donne tra i 25 e i 35 anni sono il gruppo più svantaggiato nell’integrazione economica, ma al contempo rappresentano una percentuale crescente dei nuovi arrivati in Italia che incarna un potenziale straordinario, spesso oscurato da barriere sistemiche che le confinano ai margini del mercato del lavoro e della società.

Le donne migranti si trovano ad affrontare discriminazioni multiple: quella di essere donne in una società ancora profondamente segnata da disuguaglianze di genere, e  quella di essere migranti, spesso percepite come “corpi estranei” nel tessuto sociale. 

I dati più recenti confermano la portata di queste difficoltà:

solo il 47,5% delle donne straniere tra i 15 e i 64 anni ha un’occupazione, contro il 74,9% degli uomini stranieri (Openpolis, 2024).

Inoltre, soprattutto per le donne immigrate e specialmente per coloro che sono originarie di paesi extra-europei il mercato del lavoro italiano offre profili occupazionali non adeguati alla loro qualifica: le lavoratrici migranti sono spesso impiegate in ruoli svantaggiati, caratterizzati da scarsa mobilità sociale e retribuzioni più basse.

A questa condizione si aggiunge la complessità dell’essere madri: nella fascia tra i 25 e i 49 anni, solo il 43,6% delle madri migranti risulta occupata. Spesso queste donne sono costrette a scegliere tra lavoro e cura dei figli, a causa della loro condizione di sradicamento e mancanza di servizi per l’infanzia o di reti di supporto, accentuando così la loro esclusione dal mercato del lavoro.

Una particolare condizione di vulnerabilità riguarda le donne che arrivano tramite ricongiungimento familiare. Queste rappresentano infatti la maggior parte delle donne che arrivano in Italia, poco meno di sette donne su dieci hanno un permesso di soggiorno per motivi familiari, condizione che spesso si traduce in marginalizzazione e dipendenza economica dal coniuge. 

“Le donne neoarrivate in ricongiungimento familiare, sovente rischiano di avere scarsa autonomia, competenze linguistiche limitate e ridotta capacità di integrarsi nella società ospitante. In talune famiglie con background migratorio, alle donne è peraltro attribuito un ruolo rilevante nella trasmissione delle tradizioni culturali del paese di provenienza, il che può rappresentare un carico familiare ulteriore che potrebbe incidere negativamente sul loro percorso di integrazione sociale e nel mercato del lavoro.” (Policy Brief del Consiglio d’Europa – marzo 2025)

Il rischio in questi come in molti altri casi è quello di un isolamento che si intensifichi quando la relegazione in ambito domestico impedisce l’apprendimento della lingua italiana, creando un vero e proprio muro invisibile che limita l’accesso a informazioni, diritti e opportunità. La barriera linguistica non è solo un ostacolo pratico, ma spesso diventa un fattore di esclusione sociale e psicologica, che impedisce alle donne di partecipare attivamente alla vita della comunità, di difendere i propri diritti e di costruire relazioni di fiducia.

Progetti come WAW (Women A(r)t Work) nascono per rompere questo circolo vizioso e per trasformare le vulnerabilità in opportunità. Attraverso percorsi di formazione artigianale, in co-progettazione con i Servizi Sociali del Comune di Bologna, agiamo come una vera e propria palestra di lavoro e di vita

Le donne coinvolte hanno la possibilità di apprendere nuove competenze, di riscoprire la propria creatività e di rafforzare la fiducia in sé stesse. 

Il lavoro artigianale diventa così non solo uno strumento di emancipazione economica, ma anche un’occasione per creare legami, condividere esperienze e sentirsi parte attiva della comunità. 

In questi anni ci siamo però rese conto che rendere autonome queste donne richiede tempistiche dilatate rispetto ad altri percorsi d’integrazione. Sono diverse le sfide con cui ci interfacciamo tutti i giorni prima fra tutte i vincoli familiari che rallentano l’emancipazione. 

Crediamo fermamente che il superamento di queste barriere richieda un cambio di paradigma nel rapporto tra terzo settore e mondo produttivo. Le aziende possono diventare attrici centrali del cambiamento adottando politiche di responsabilità sociale intersezionali.

La collaborazione tra terzo settore e imprese deve evolvere dalla logica della beneficenza a quella della co-progettazione di valore condiviso.

Questo tipo di partnership rappresenta un modello virtuoso di sviluppo sostenibile, capace di generare benefici sia per le donne coinvolte, che si trasformano da destinatarie passive in protagoniste di sviluppo economico, sia per le comunità e le imprese stesse. 

Progetti

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articolo precedente
Donne migranti in Italia: tra ostacoli invisibili e potenzialità inespresse
Articolo successivo
Una linea quattro collezioni
× Serve aiuto?